UroAra Regina
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| Titolo: SPOILER! Nihal contro Dola. Gio Feb 23, 2012 6:45 pm | |
| ANNUNCIO GLOBALE: questo post può contenere molti spoiler importantissimi. Se non hai letto i capitoli "Il Traditore" e "Il segreto di Ido" del secondo libro delle cronache NON andare avanti.Nihal vs Dola. Non è la battaglia più interessante? Cosa pensavate che potesse accadere? Io un'altra sconfitta. Certo, Nihal non poteva morire ma poteva perdere. Andando avanti pensai: ora muore. "E dopo?" mi chiedevo "Beh, potrebbe resuscitare perché le anime dei mezzefi si impadroniscono del suo corpo e..." (deliri in uno stato di completa assenza dal mondo reale xD). Poi quando Nihal e Dola cadono dai draghi e Nihal perde la spada... . Poi, quando la Lacrima la salva, ci sono rimasta malissimo. Quindi Nihal non avrebbe battuto Dola se non avesse quella resina essiccata dai poteri magici! grrr... - Nihal contro Dola:
Quando le truppe raggiunsero il colle a ridosso dell'accampamento nemico, Nihal si avvicinò al generale. «Tutto procederà come previsto. Vichiedo solo di coprirmi mentre tengo occupato Dola.» Mevern annuì. Allora Nihal abbassò la visiera dell'elmo e tutto si attutì. Era tempo di attaccare. Era tempo di concentrarsi e di scacciare ogni pensiero che nonfosse la battaglia. Il generale levò in alto la spada e quando la calò Nihal e Oarf si alzarono in volo veloci. Nihal si diresse senza indugi verso la torre centrale. Se una parte di leifremeva per il desiderio di combattere, l'altra nutriva la speranza impossibile di cogliere Dola di sorpresa e catturarlo così, senza duello. Un colpo di coda di Oarf abbatté parte del torrione, che precipitò sulletende del campo. Nihal sentì gli urli gutturali dei fammin schiacciati dal crollo e subito dopo le grida dei suoi uomini che avanzavano.Forse Dola non era nella torre. Nihal si guardò intorno per cercarlo, malo gnomo e il drago nero sembravano scomparsi. Oarf ruggì, mentre infuriava su un altro pezzo del torrione. Dov'è quel maledetto, dove? Nihal fece un paio di ampi giri intorno alle rovine senza vedere nulla. Poi sentì muoversi qualcosa. Un ansare lento e possente, come di un enorme mantice, risuonò tra le rovine. Due grumi di brace illuminarono il buio della notte. Una testa nera eruppe dalle macerie. Il drago si liberò con uno scrollonedai pietroni ammassati e rimase a scalpitare su quel che restava della torre. Sul suo dorso svettava Dola, armato di una lunga lancia.«Sono qui per te, Dola!» gridò Nihal, mentre la rabbia le esplodeva inpetto. «Sono venuta a prendere la tua testa!» Il guerriero restò fermo per un istante, con gli occhi da furetto puntativerso il cielo. Da sotto l'elmo uscì una voce sprezzante: «Sei resistente, ra-gazzino. E stupido». «Questo lo vedremo, bastardo» mormorò Nihal. Sguainò la lama e quel semplice gesto, che aveva fatto migliaia di volte,scacciò i sussurri maligni che le offuscavano il pensiero, l'esultanza del suocuore, il desiderio di vendetta, tutto. In lei rimase solo la gelida determina-zione del cavaliere.Il drago si alzò in volo all'improvviso e Dola si gettò lancia in resta contro Nihal. Oarf schivò il colpo e lei fu rapida a colpire la bestia nera, chespalancava le fauci davanti a lei.Dola ripartì, ma stavolta Nihal era pronta. La battaglia vera e propria po-teva cominciare.Nihal era consapevole che lo gnomo aveva una forza sovrumana e unavelocità ben superiore alla sua, ma sperimentarlo di nuovo la lasciò senzafiato. Non poteva fare altro che parare ogni suo attacco e anche quello lerichiedeva uno sforzo enorme. Iniziò a usare entrambe le mani, cercandodi tenersi in equilibrio su Oarf, che era costretto a continui cambiamenti didirezione per sfuggire ai morsi del drago nero. Erano passati pochi minuti dall'inizio del duello, quando Nihal non videarrivare la lancia. Una stoccata penetrò senza sforzo la corazza, incrinò ilcristallo e la ferì di striscio sulla spalla. Fu costretta ad allontanarsi, ansimante.Dola rimase immobile sulla sua cavalcatura. «L'ultima volta sono statotroppo buono con te» urlò, mentre agitava in aria la punta della lancia ar-rossata. «Per ora mi accontento di assaggiare il tuo sangue, ma giuro che tistaccherò le membra a una a una, ragazzino» concluse ridendo.A Nihal montò il sangue alla testa. «Sono un Cavaliere! Non chiamarmi ragazzino!» gridò. Poi spronò Oarf.Ora lo vedeva bene: ogni pezzo della sua armatura, ogni fessura nellaquale avrebbe potuto affondare la lama. Impugnò di nuovo la spada a duemani e raddoppiò la velocità dei movimenti, parando con precisione. Ancora non trovava margini per attaccare, ma doveva avere pazienza, solopazienza. Non sapeva che cosa accadeva a terra. Non sentiva il rumore della battaglia, solo i colpi della sua spada contro la lancia. Di tanto in tantouna stilettata le lacerava la pelle e il sangue le scorreva sotto l'armatura, maera il dolore di un attimo, non bastava a fermarla. Aveva visto l'inferno,pur di sconfiggere Dola. Schivò l'ennesimo affondo e dovette di nuovo allontanarsi, ma lo gnomo la incalzò. Il drago nero sputò un fiotto di fuoco,poi un altro e un altro ancora, mentre Oarf sbatteva le ali per levarsi più inalto. Ben presto si trovarono a volare veloci verso il cielo. Nihal ripresefiato, ma d'un tratto sentì la lancia di Dola sibilarle vicino. Oarf non scartòabbastanza velocemente e sul fianco gli si disegnò uno squarcio. Il dragoruggì per il dolore e si voltò scalpitando. «Calmo, Oarf, calmo» mormoròNihal, ma sapeva che non potevano continuare così. Devo affrontarlo. De-vo affrontarlo ora! Erano soli, uno di fronte all'altra. Ai loro piedi la foresta, sulle loro testeil cielo fitto di stelle. Nessun suono turbava la notte, se non il frinire ritmi-co dei grilli. Nihal si accorse del sangue che le bagnava la pelle: Dola stava mantenendo la promessa, la stava uccidendo pezzo per pezzo.Lo gnomo sguainò la spada. «Così combattiamo ad armi pari, e ad armipari ti farò a pezzi.» Si sentiva tanto sicuro di sé da darle quel vantaggio. Ma se contro unalancia Nihal poteva poco, contro una spada le cose erano più facili. La ra-gazza spronò Oarf e si scagliò contro lo gnomo. Dola rimase immobile,come se non tenesse in nessun conto quell'attacco. Quando fu a un passoda lui, Nihal si alzò in piedi sulla groppa di Oarf e menò un fendentedall'alto, prendendo Dola di sorpresa. Per quanto frettolosa, la parata dellognomo fu efficace, ma Nihal non si scompose. Spiccò un salto e atterròsulla schiena del drago nero. Colpì di taglio il fianco di quel maledettognomo con tutta la forza che aveva. Con un lampo di luce bianca, la lamapenetrò il primo strato della corazza e infine raggiunse la carne.Dola reagì con un fendente laterale, ma Nihal fu agile a sottrarsi. Piantòla spada nella spalla del drago nero, strinse l'elsa con entrambe le mani e silasciò scivolare, fino a pencolare nel vuoto. L'animale lanciò un lamento eNihal puntò i piedi contro il suo ventre, poi estrasse la spada dalla ferita.Precipitò, ma Oarf fu pronto a intercettare la sua caduta. Era di nuovo ingroppa. Ce l'aveva fatta.Nihal esplose in una risata feroce. «Hai un'armatura scadente, Dola! IlTiranno non fornisce niente di meglio ai suoi sgherri?» urlò, alzando laspada. Dalla lama il sangue del drago nero le scivolò lungo il braccio, me-scolandosi al suo.«Aspetta a cantare vittoria, moccioso» rispose Dola. Nella sua voce Nihal percepì un fremito di rabbia.Lo gnomo iniziò a menare un fendente dietro l'altro, ravvicinati e potenti, che Nihal schivò saltando. Ormai aveva capito: doveva giocare d'agilitàe mirare a ferire il drago. Una volta a terra avrebbe avuto più probabilità disuccesso. A un tratto, però, un colpo la raggiunse al costato e le mozzò ilfiato. Oarf planò bruscamente di una ventina di braccia per darle il tempodi riprendersi. Nihal era già indebolita per le ferite e il sangue perso,quell'ennesimo taglio le avrebbe tolto anche le ultime energie. Devo fare in fretta. Devo colpirlo di nuovo, adesso! Ripartì all'attacco e iniziò ad attac-care con furia cieca. Urlava e colpiva, colpiva e urlava, e quando la lucebianca la accecava sapeva che il colpo era andato a buon fine. Oarf, perparte sua, stringeva tra le fauci la spalla del drago nero già trafitta dallaspada di Nihal e non mollava la presa, mentre il sangue usciva a fiotti.
Nonostante Dola fosse ferito, la potenza dei colpi non sembrava diminu-ire. Lo gnomo la centrava di piatto, mirando a disarcionarla, e Nihal senti-va le forze venirle meno. Non capiva più se quello che la copriva era sudo-re, il suo sangue, quello del drago o quello di Dola. Continuava ad attacca-re alla cieca ma era sfinita, le doleva ogni fibra del corpo. Perse il ritmo,allentò la pressione delle ginocchia sul dorso del suo drago. Si sentì man-care.Oarf se ne accorse e arretrò con due potenti colpi d'ala, portandosi via trale fauci un brandello di carne del mostro nero.Nihal riprese fiato e riuscì a mettere a fuoco l'immagine del suo avversa-rio. La corazza di Dola era intaccata in più punti e lasciava vedere la pelleinsanguinata dello gnomo. Lei era messa peggio. Le ferite le bruciavano eaveva la vista annebbiata, ma non si sarebbe arresa. Lo avrebbe sconfitto, acosto di morire. Il drago. Devo abbattere il drago. Non ebbe bisogno di dare alcun comando: con un ringhio, Oarf balzòaddosso al drago nero e infuriò su di lui con le zampe e i denti. I ruggiti deidue animali erano assordanti e il calore che si sprigionava a ogni fiammataintontì Nihal e Dola, li ridusse a due guerrieri inermi, in balia della volontàdelle loro cavalcature. La ragazza restava aggrappata a Oarf come poteva,mentre lo gnomo cercava di istigare il suo drago a reagire. Poi, repentina-mente, proprio quando sembrava avere la meglio, Oarf abbandonò la lottae si diede alla fuga.«Fermati! Fermati, Oarf!» gridò Nihal. Si guardò alle spalle. La bestianera li inseguiva a fatica e perdeva sangue a ogni battito d'ali.Oarf puntò verso il cielo e solo allora invertì bruscamente direzione, ca-lando dall'alto sul suo nemico. Nihal fu tutt'uno con il pensiero del suodrago. Sì! Sì, Oarf! Ho capito! Sono pronta! Adesso! Strinse le ginocchia eagguantò la spada con entrambe le mani, stringendone l'elsa come fossequella di un pugnale.Oarf planò a poca distanza dalla testa nera del drago e Nihal affondò lalama con tutta la forza che le era rimasta.Dal collo del drago nero sgorgò un violento getto di sangue. L'animaleemise un verso spaventoso, di dolore misto a rabbia.«Maledetto!» urlò lo gnomo e con un fendente squarciò un'ala di Oarf.Il drago nero perse rapidamente quota e rovinò sulla cima degli alberi,trascinando con sé i rami.Oarf lo seguì poco dopo e andò a cadere qualche braccio più in là. Per un attimo Nihal non vide altro che un turbine di foglie e schegge dilegno, poi venne sbalzata dalla schiena del suo drago e rimbalzò al suolo.Fu il sibilo di una lama a riportarla alla realtà.«Hai osato troppo, ragazzino!» urlò Dola.La ragazza fece appena in tempo a spostarsi, rotolò su un fianco e sentìla spada dello gnomo configgersi a un soffio dalla sua testa.Rimase accucciata tra i cespugli, affannata. La spada! Dov'è la mia spada? Non riusciva a contare le ferite dello gnomo, ma erano molte e alcunedovevano essere profonde. Com'è possibile che gli sia rimasta tanta energia? Nihal cominciò ad arretrare, le ginocchia piegate, le mani tra il fo-gliame alla ricerca della sua spada.Dola sembrava sicuro della vittoria. «Sei finito, ragazzo. Sei finito» ripe-teva mentre avanzava lentamente.Nihal inciampò su qualcosa di tagliente. Le sfuggì un gemito dalle lab-bra e cadde all'indietro. Perdeva sangue da una caviglia, ma mai una ferital'aveva resa tanto felice.Dola scoppiò a ridere.«Risparmiami, ti prego» sussurrò Nihal.«Adesso mi preghi?» sibilò lo gnomo. «Non mi basta, Cavaliere. Ripro-va, puoi fare di meglio.»«Ti supplico. Lasciami vivere» lo implorò Nihal. Si spostò impercettibilmente verso di lui.«E perché dovrei?»Nihal si prostrò a terra. «Ti servirò per sempre, farò tutto quello che vor-rai...» piagnucolò. Protese le braccia sul terreno finché la mano destra nonincontrò qualcosa di duro e freddo. Fu allora che si alzò di scatto, la spadadi nuovo in pugno.Si lanciò contro di lui, ma i suoi colpi erano meno precisi, aveva la vistaannebbiata e il dolore le toglieva il fiato. Duellarono ancora a lungo, men-tre il suono stridulo delle lame che si incrociavano violentava il silenziodella notte.Anche Dola sembrava accusare la stanchezza. Prese ad arretrare. Sbagliòuna parata, poi un'altra ancora. Colpiscilo ora! Colpiscilo! Lo gnomo non ebbe il tempo di vedere il fendente in arrivo. La lama dicristallo lo centrò al ventre e per un istante il bosco si illuminò di un ba-gliore bianco. Dola urlò di dolore e la sua corazza cadde a terra in frantumi. Si appog-giò a un albero gemendo. Nihal rimase in guardia, ma un sorriso le affioròalle labbra. Ce l'aveva fatta.La sua soddisfazione durò poco.Dola le scoccò un'occhiata sprezzante. «Ebbene? È tutto qui quello chesai fare?» disse, poi tese ancora la spada verso di lei.Dagli occhi di Nihal sgorgarono lacrime di rabbia. Non c'era modo disconfiggerlo. Non ce la faceva più, non avrebbe retto un altro scontro. Eradestinata a morire per mano del mostro che aveva ucciso la sua infanzia.Poi accadde qualcosa che le mozzò il respiro.La Lacrima incastonata nell'elsa della sua spada prese a brillare e l'albe-ro a cui Dola si era appoggiato si illuminò di colpo ed emanò un chiaroreargenteo e terribile. Le radici uscirono dal terreno, avvolsero il corpo tozzodello gnomo e lo gettarono a terra. I rami si contorsero fino a toccare ilsuolo e si avvilupparono intorno ai suoi arti.Nihal osservò la scena terrorizzata. Lo spettacolo di quell'immenso albe-ro che si muoveva aveva un che di spaventoso, di sovrumano, di potente.Un Padre della Foresta la stava aiutando.Vide la corteccia brillare minacciosa, le foglie diventare acuminate comelame di coltelli e penetrare sotto la pelle di Dola, i rami scuotere con vio-lenza il loro prigioniero per poi gettarlo lontano.Dola andò a sbattere contro un altro albero e cadde in modo scompostosul terreno. La luce svanì a poco a poco e l'alberò tornò immobile e silen-zioso.A Nihal sembrò di avere perso la cognizione del tempo. Non sapeva perquanto era rimasta lì, immobile, a guardare quel corpo steso a terra. Quan-do si riscosse, si accorse che tremava da capo a piedi e che nella sua testarimbombava un unico grido: "Uccidilo! Uccidilo! Uccidilo! ".Si avvicinò piano a Dola. Era a poche braccia di distanza, ma a lei par-vero miglia. Quando gli fu sopra lo guardò. Ansimava in una pozza di san-gue, ma la fissava ancora con occhi di fuoco.Nihal alzò la spada e la conficcò nella spalla dello gnomo, inchiodando-lo al suolo. Il suo grido le sembrò un canto melodioso.Solo allora si tolse l'elmo e lo gettò lontano.Dola accennò un sorriso beffardo. «Dunque era vero: ce n'è ancora una,di voi bastardi...» Nihal fu accecata dalla rabbia. «Sì, ce n'è ancora una, Dola» ringhiò. «Sichiama Nihal della Torre di Salazar. Guardala bene in faccia, perché saràlei a strapparti la vita.» Mentre lo diceva, gli puntò la lama alla gola.«Me la ricordo bene, Salazar. Bruciava che era una meraviglia...» bisbi-gliò lo gnomo. «Uccidimi pure, giovane mezzelfo. Ma non illuderti: nonservirà a fermare il Tiranno. Non ti basterebbero mille vite per ucciderci tutti.» "Uccidilo! Uccidilo!" ripetevano le voci.Ma Nihal esitava. Basta così poco. Devo solo premere la lama sulla sua gola e poi sarò felice, avrò fatto ciò che devo. Aveva promesso, non poteva. Quanti uomini ho finito con un colpo di spada? Quanti fammin ho truci-dato? Quante agonie sono passate sulla mia lama? Cosa può significare una morte in più? La mano che stringeva l'elsa era sudata, la fronte gelida.Nihal ricordò le parole di Megisto: "Vuoi vederlo implorare pietà. Equando sarà ferito ai tuoi piedi, vuoi tagliargli la gola e guardare il suosangue inzuppare il terreno. E quando sarà morto riderai e sentirai che latua vendetta è compiuta". No! No! No! Fece un passo indietro sulle gambe malferme. Rinfoderò la spada. «Sa-ranno altri a decidere la tua sorte, maledetto» disse con un filo di voce.Dola la guardò tra le palpebre socchiuse. «Stai commettendo un grossoerrore, mezzelfo, un grosso errore...» Le sue parole si spensero lentamente,mentre gli si chiudevano gli occhi
E poi? Il segreto di Ido... In realtà non sono rimasta perché lo sapevo ( ): avevo letto i personaggi alla fine: "Dola: [...] fratello di Ido". Si, li sono rimasta ma non quando l'ho letto. Lo stesso non sapevo molte cose: aveva combattuto tra le file del Tiranno, contribuito a fare strage dei mezzelfi! Re leggittimo della Terra del Fuoco, trono usurpato dal fratello. Era stato come Nihal una volta, anzi, lui non si era neanche preoccupato di sapere perché faceva quel che faceva. Insomma, mi stavo per bucare l'occhio con l'angolo del libro per leggere meglio - Il segreto di Ido:
Quando la guerra dei Duecento Anni finì e Nammen, il re dei mezzelfi, prese il potere su tutto il Mondo Emerso, sulla Terra del Fuoco regnava Daeb, un re né migliore né peggiore di tanti altri. Le volontà del nuovo sovrano sovvertirono l'ordinamento politico otte-nuto con anni di battaglie: Nammen decise che le Terre da lui conquistate fossero restituite ai legittimi popoli, destituì tutti i regnanti e stabilì cheogni Terra eleggesse il proprio re. Alcune Terre vollero mantenere i propri monarchi, altre ne scelsero dinuovi. Nella Terra del Fuoco, tuttavia, il popolo degli gnomi non ebbe la possibilità di eleggere nessuno. La decisione di Nammen scatenò unaguerra intestina tra le famiglie nobili, che portò all'assassinio di Daeb eall'esilio forzato del suo primogenito Moli. Moli era giovane, ma giurò che non avrebbe mai dimenticato quel cheera accaduto e che prima o poi si sarebbe ripreso ciò che gli spettava.Si stabilì nella Terra delle Rocce e sposò Nar, una ragazza del posto,gnomo anche lei, da cui ebbe due figli: Ido e Dola. Moli amava i suoi figli, ma la sola cosa che davvero contasse per lui erala vendetta. Aveva un solo pensiero: riprendersi la corona e vendicare il padre. Ido e Dola impararono a maneggiare la spada fin da piccoli. Quandonon era in viaggio per il Mondo Emerso in cerca di alleanze, Moli li adde-strava personalmente. Ido era solo un bambino, ma era bravo con le armi. Il padre gli ripetevadi continuo che sarebbe diventato re. Gli diceva di odiare chi aveva toltoloro il trono e lui odiava. Gli diceva che avrebbe dovuto uccidere il nemi-co e lui annuiva convinto. Lo mandò all'Accademia dei Cavalieri di Dragoche era appena un ragazzino: fu lì che conobbe Vesa, fu lì che imparò tut-to. Dola era diverso; era gracile, non era portato per il combattimento, siammalava facilmente. E poi era il figlio minore: non doveva ereditare iltrono, bastava che al momento giusto fosse capace di lottare. Moli lo tor-mentava, lo costringeva ad allenarsi sotto la pioggia battente, cercava intutti i modi di farne un guerriero. Dola si impegnava come può impegnarsiun bambino che vuole compiacere il padre: si allenava da solo, metteval'anima in quel che faceva, ingoiava insulti e angherie.Fu subito dopo la nomina di Ido a Cavaliere che avvenne la svolta. Moli si mise in contatto con un giovane mago molto ambizioso che gliassicurò il suo appoggio per riconquistare il trono usurpato a Daeb. Presea recarsi sempre più spesso nella Grande Terra e quando tornava da queiviaggi sembrava soddisfatto.Un giorno dovette partire per la Terra della Notte e volle che Ido e Dolalo accompagnassero. Raggiunsero un luogo sperduto, una sorta di palazzoincuneato tra le montagne, impossibile da trovare per chi non ne cono-scesse l'ubicazione. Là Ido e Dola conobbero per la prima volta l'uomo in cui loro padrecredeva ciecamente. O meglio conobbero la sua voce, perché l'uomo si ce-lava dietro un pesante tendaggio nero. Una voce indecifrabile, senza età,non umana.«Questi sono i miei figli, signore» disse Moli, in un tono servile che col- pì Ido.«Qual è il maggiore?» chiese la voce. Moli spinse avanti Ido. «È lui, mio Signore.»"Mio signore", così disse Moli. Ido non capiva: suo padre era un re e luiun principe, nessuno poteva essere il loro signore. Era a disagio. Non po-teva vedere quell'uomo, eppure sentiva il suo sguardo su di sé. L'uomo dietro la tenda gli chiese se rivoleva il suo trono. Ido rispose che sì, certo che lo voleva. L'uomo non disse altro.Poi fu la volta di Dola. Con lui parlò a lungo e a Ido sembrò che lo a-vesse preso in simpatia. Due mesi dopo quell'incontro, Moli disse ai figli che dovevano tornarenella Terra della Notte e pianificare l'attacco alla Terra del Fuoco. Ad at-tenderli avrebbero trovato un esercito. Ido e Dola rientrarono nel palazzo dell'uomo senza volto. L'esercito c'e-ra, grande e numeroso, e Ido sentì il sangue scorrere veloce nelle vene: ilgrande giorno era arrivato! Finalmente, dopo anni di soprusi e di esilio, sisarebbero ripresi ciò che era loro.C'era molta altra gente dall'uomo velato, gente che Ido non conosceva.Fu quello il giorno in cui il Tiranno ascese al potere e Ido era lì. Non gliinteressava sapere che cosa quell'uomo stesse tramando, né perché. Vole-va solo la sua corona, e per quella lottò.Fu la sua prima guerra. La campagna durò tre mesi, fu lunga e faticosa, fu ferito più di una volta e rischiò la vita, ma niente sembrava fermarlo.Combatteva per la sua famiglia, per la sua corona. Quel sogno lo acceca-va. Dola invece combatté solo all'inizio, poi prese a trascorrere periodisempre più lunghi nel palazzo dell'uomo velato. Il Tiranno, come si facevachiamare ora. Ido giunse in vista di Assa, la capitale della Terra del Fuoco, un giornodi luglio. Aveva attraversato un paese in rovina e la popolazione lo avevasalutato come un salvatore. Era poco più di un ragazzo e tutte quellebraccia tese, la gratitudine della gente, la vittoria gli diedero alla testa. Sisentì un eroe e con quella convinzione raggiunse il palazzo reale, che letruppe comandate da Moli avevano già messo a ferro e fuoco. Il re usurpatore e tutti i suoi familiari erano stati riuniti nella sala deltrono. Il sovrano implorò di avere salva la vita. Moli ascoltò in silenzio, sorridendo. Poi guardò Ido e gli porse la spa-da. «A te l'onore» disse. Ido si avvicinò e lo trafisse senza pietà. Aveva già ucciso, ma sempre inbattaglia. Gli piacque togliere la vita a quell'uomo che non conosceva. Gli piacque vedere la disperazione della sua famiglia. Quel giorno diventò unassassino.
I mesi successivi furono dedicati alla vendetta. Moli fece uccidere o im- prigionare tutti coloro che avevano appoggiato il vecchio re e inauguròcol sangue la nuova era. Ido invece si dedicò ai piaceri della vita. Divenneuno sfaccendato. Passava le giornate a corte e le notti a fare baldoria tradonne e birra, si disinteressava di quello che accadeva fuori dai confinidella sua Terra. Non aveva altro scopo nella vita che godersi quella coro-na che suo padre gli aveva promesso da sempre. Finché un giorno Molinon lo convocò.«Il Tiranno vuole che tu vada da lui» disse in tono grave.«E perché?» sbuffò Ido. «Non ci penso neppure!»«Ti ricordo che abbiamo un debito con lui, Ido. Tuo fratello lo ha giàraggiunto nella Grande Terra. Partirai stasera stessa» ordinò Moli e conquesto chiuse la discussione. Nella Grande Terra Ido trovò enormi cambiamenti: dove un tempo sor-geva il palazzo del Consiglio era in via di costruzione un'immensa torre dicristallo nero. Il Tiranno stava edificando la sua Rocca. Per il momentonon era che una massiccia base ottagonale alta non più di quattro piani,ma era maestosa e impressionante. Le pareti mandavano bagliori funebri,le finestre erano alte ogive spalancate come orbite in un cranio. Ai latidella torre centinaia di schiavi lavoravano giorno e notte ad altri otto edi- fici minori: i tentacoli che in futuro avrebbero insidiato ciascuna delleTerre libere.Fu Dola ad accogliere il fratello e ad accompagnarlo nel salone delleudienze. Ido quasi non lo riconobbe: non era più il ragazzo gracile e fragi-le che conosceva. Sembrava cresciuto, aveva un'aria spavalda ed era ve-stito da guerriero. Il Tiranno si celava, come sempre, dietro una pesante cortina nera. Lasua voce risuonava nel salone come se provenisse dall'aldilà.«È ora che tuo padre estingua il suo debito. D'ora in poi tu e tuo fratellocombatterete per me» disse il Tiranno. Ido tentò di protestare, ma il Tiranno lo interruppe bruscamente: «Que-sta è la mia decisione. Ed è anche quella di tuo padre, perché il mio voleree il suo sono tutt'uno, Ido. Ricordatelo». Fu così che Ido entrò nell'esercitodel Tiranno. Ebbe un'armatura e una spada sulla cui elsa era inciso il giu-ramento di fedeltà al Tiranno. All'inizio non aveva molti uomini sotto disé, perché il Tiranno non disponeva ancora di un esercito vero e proprio:erano i vecchi re destituiti da Nammen a fornirgli uomini e armi. Ido fu distaccato sul fronte della Terra della Notte. Là imparò davvero ilmestiere delle armi. Il Tiranno fece di lui un guerriero. Più passava iltempo, più la guerra gli entrava nell'anima. Amava il combattimento fine ase stesso, amava l'odore del sangue che ritrovava la sera sulla pelle, ama-va il terrore che incuteva nei nemici. Il Tiranno diede uno scopo alla sua vita: uccidere. Più uccideva, più eratemuto e più era temuto, più si sentiva forte. Quando scendeva sul campodi battaglia, la sua spada non si fermava finché non erano tutti a terra. Non aveva paura del dolore, non aveva paura della morte. Se non combat-teva, non si sentiva vivo.Tornava ad Assa di rado. La vita di palazzo che aveva amato tanto oragli dava la nausea. Il padre non gli sembrava più lo stesso. Era invecchia-to e ai suoi occhi era diventato un piccolo uomo meschino, in ansia per lasorte dei suoi figli e del suo regno, sul quale aveva sempre meno potere.Quando lo andava a trovare, Moli non faceva che piagnucolare, si lamen-tava delle tasse che doveva al Tiranno, degli uomini che il suo esercito glistrappava. Gli ripeteva che sentiva il fiato del Tiranno sul collo, lo suppli-cava di non lasciargli prendere la loro Terra. Invece vedeva spesso Dola e ogni volta non si capacitava che fosse lui. Iniziava a farsi un nome come guerriero e aveva parecchie truppe sotto disé. I suoi soldati lo temevano e lo rispettavano, e presto la sua fama fumaggiore di quella del fratello. Ido iniziò a esserne geloso.Poi il Tiranno lo convocò e gli disse che aveva un regalo per lui. Fu al-lora che lo mise a capo di una truppa di fammin. Da quel giorno, per diecianni, Ido non fece altro che combattere. Il Tiranno aveva fatto dono a Dola di un drago nero, un animale spa-ventoso che sembrava uscito dalle viscere della terra. In groppa a quellabestia, l'ascesa di Dola come guerriero sembrava giunta al culmine. Più diuna volta Ido aveva guardato il drago nero con invidia. Vesa non reggevail confronto.«Voglio metterti alla prova, Ido» disse il Tiranno. «Se porterai a termi-ne la prossima missione, avrai anche tu un drago nero e nuove truppe sot-to il tuo comando. Soddisfami e ti renderò potente.» La Terra della Notte era stata conquistata da più di un anno, ma lungo iconfini erano ancora insediati numerosi gruppi di ribelli. Ido ricevette un contingente di duecento fammin e un solo ordine: sterminare. La cittadella gli apparve da lontano, immersa nel buio perenne dellaTerra della Notte. Era piccola, una trentina di casupole di legno protetteda un robusto steccato e neppure una sentinella a presidiarne l'ingresso. Ido si aspettava che i ribelli stessero all'erta, ma non si fece domande. Anzi, si rallegrò: aveva dalla sua la sorpresa. Lanciò i fammin all'attaccoe si alzò in volo con Vesa per tempestare di fuoco le capanne.Ci mise un po' a capire. I fammin non incontravano resistenza. Le uni-che urla che sentiva erano di donne e bambini. Il Tiranno lo aveva manda-to a sterminare un villaggio di mezzelfi. Si erano stabiliti lì dopo essere fuggiti dalla Terra dei Giorni. All'epoca erano già in pochi. Ido aveva combattuto molto in quei dieci anni. Aveva ucciso senza scru- poli, aveva passato a fil di spada chi implorava pietà. Non aveva alcunamorale, non gli interessavano il bene e il male, degli altri non gli importa-va niente. Ma quella volta, quando vide le sue truppe infierire su chi fuggiva, finirei feriti a morsi, gettarsi sui cadaveri, qualcosa in lui si ribellò. Quei nemicinon erano soldati: era gente disarmata, che chiedeva solo di vivere in pa-ce.Planò con Vesa sulla mischia e ordinò la ritirata, ma i fammin non gliobbedirono. Gridò ancora, sempre più forte, senza risultato. Allora si lan-ciò sui suoi soldati, li finì uno dopo l'altro con la spada, ma fu tutto inutile. I fammin gli si rivoltarono contro e lo ferirono gravemente. Riuscì a sal-varsi solo grazie a Vesa. Si mise al riparo in cima a un picco e assistettealla strage dall'alto.Quando fu tutto finito scese a terra, smontò da Vesa e attraversò il vil-laggio a piedi. Si sentiva sul punto di impazzire. Era troppo. Era troppoanche per lui. Non voleva più combattere per quell'uomo, mai più. Decise di tornare ad Assa. Fu costretto a battere strade poco percorse.Era ferito, ma soprattutto era un traditore. Ido non sapeva perché stesseandando da suo padre, non sapeva che cosa lo tenesse ancora in piedi,non sapeva più nulla. Fu un viaggio terribile. Poi raggiunse la Terra delFuoco e la realtà gli si presentò in tutta la sua crudezza. La popolazioneera tenuta in schiavitù, nei villaggi si respirava la disperazione. Le donneerano sole a occuparsi della terra, i bambini erano magri e laceri, gli uo-mini lavoravano nelle fucine nei pressi dei vulcani del regno per produrre armi.
Quando Ido arrivò al palazzo reale, lo trovò presidiato dalle guardie delTiranno. Lo fermarono e lo trascinarono in catene nella sala del trono.Seduto sullo scanno non c'era Moli ma Dola, irriconoscibile. Sul capoaveva la corona che era stata di suo padre. Ai piedi, accucciato, l'immen-so drago nero guardava Ido con occhi di brace e sembrava ridere di lui.«Fratello mio» esordì Dola in tono condiscendente «sai che il Tiranno èadirato con te?»«Dov'è nostro padre?» chiese Ido, stremato. Dola alzò le spalle. «Purtroppo è morto qualche settimana fa. Mi di-spiace, non avrei voluto che tu lo venissi a sapere in questo modo...»«Maledetto! L'hai ucciso!» gridò Ido, ma le guardie lo sbatterono a ter-ra.«È stata la sua stoltezza a ucciderlo» rispose Dola. «Perché fai finta dinon capire, Ido? Perché non vuoi che il Nostro Signore si prenda cura dite? Guardami: il Tiranno mi ha reso potente, mi ha dato un corpo e una forza invincibili.» Ma Ido non capiva, non riusciva a capire. «Tu sei pazzo...» Dola scoppiò a ridere. «Il pazzo sei tu, se rinunci a questo. Ido, cosavuoi che sia la vita di nostro padre, la vita degli inetti che ci circondano,di fronte al Potere? Tutto ci sarà permesso, potremo tutto, perché il Ti-ranno può tutto. Contribuiremo alla creazione di un nuovo ordine. Pensa-ci, Ido. Torna da lui e prostrati ai suoi piedi: ti perdonerà.» La rabbia di Ido esplose. «Hai venduto la tua anima, Dola! Hai uccisonostro padre e venduto la tua anima!» gridò mentre le guardie lo trasci-navano via.«Hai tempo fino a domani per decidere, fratello mio: o torni al serviziodel Tiranno o sarai ucciso» concluse Dola. Ido venne rinchiuso nella fortezza adiacente al palazzo, dove un temporisiedevano le guardie personali di suo padre.Era disperato per la morte di Moli e il peso della vita che aveva condot-to fino a quel giorno gli franò addosso. Aveva permesso al Tiranno dicompiere atti atroci, lo aveva aiutato a ottenere il potere, aveva lasciatoche uccidesse suo padre e che distruggesse la vita dei suoi sudditi. A salvarlo fu Vesa. In dieci uomini provarono a trattenerlo, ci si miseanche un mago, ma la forza di quell'animale sembrava indomabile. Il dra-go incenerì chiunque si trovasse sulla sua via e scappò dalle scuderie do- po averne sfondato una parete. Sorvolò a lungo la fortezza dove era rin-chiuso Ido, levando alto il suo ruggito, incurante delle frecce che gli si in-cuneavano nella pelle. Poi scese in picchiata, abbatté le mura e trascinò ilsuo padrone al sicuro, oltre il fronte. Ido si rifugiò nella Terra del Vento. Non aveva più un posto dove anda-re, un motivo per cui vivere. Fu allora che decise di consegnarsi all'eserci-to di quella Terra. Pensava che fosse giusto che a punirlo con la morte fossero coloro che aveva combattuto. Si presentò in un accampamento,gettò a terra la spada e chiese di essere arrestato. Quando i soldati lo ri-conobbero, sporco, lacero e ferito, restarono impietriti: non era mai capi-tato che un nemico si consegnasse spontaneamente. Il generale dell'ac-campamento ordinò che Ido venisse giudicato dal Consiglio dei Maghi. I giorni prima di comparire di fronte al Consiglio furono i peggiori del-la sua vita. Era perseguitato dal ricordo del villaggio che aveva distrutto,dalla consapevolezza che quelle donne e quei bambini non sarebbero mai più tornati. Ido fu condotto in catene al cospetto dei consiglieri. Disse loro tutto ciòche sapeva sull'esercito del Tiranno e sulle sue strategie future. Raccontòloro tutto quello che aveva fatto. Prima di essere riportato in cella, li pre-gò di ucciderlo.Quella notte andò a fargli visita un consigliere. Il suo nome era Dagon.«Con la tua morte non otterrai niente, Ido. La morte non laverà i tuoi peccati, non ti renderà un uomo migliore» gli disse. «Ma se vivi, dalla tuadisperazione può nascere qualcosa di buono.» Ido non capiva il senso delle sue parole.«Il dolore per le tue azioni sarà sempre con te. La tua espiazione sarà ilricordo» continuò Dagon. Poi lo guardò negli occhi. «Sei un guerriero po-tente, Ido. Sono venuto a proporti di lottare per abbattere il Tiranno, per impedire che prenda possesso di altre Terre. È una mia iniziativa. Se vor-rai morire, il Consiglio non si opporrà e sarai giustiziato. Ma se vorraicombattere nell'esercito delle Terre libere, farò di tutto perché tu possaavere un posto nelle sue file. Ora sta a te scegliere.» Ido ci pensò a lungo. Era davvero possibile ricominciare? Poteva diven-tare un'altra persona? Non aveva mai considerato la possibilità di com-battere per qualcuno: non per il potere, non per una corona, non per ucci-dere, ma per qualcuno.Quando la settimana seguente si presentò al Consiglio, Ido accettò la proposta. Ovviamente non tutti i consiglieri e i vertici militari furono d'ac-cordo. Soprattutto Raven, il Supremo Generale, che fu tra i suoi più acca-niti detrattori. Dagon, però, si assunse la responsabilità delle azioni dello gnomo. Ido fu messo a fare il fante. Il giorno della sua prima battaglia, Dagon andò a restituirgli la spada.Quando gliela porse, lo gnomo la guardò inorridito. Non riusciva neppurea toccarla. «Inciso sull'elsa c'è l'atto di obbedienza al Tiranno» mormorò.«Non posso...» Il consigliere lo interruppe con un gesto e gli mostrò l'impugnatura: lerune del giuramento erano state grattate via; al loro posto c'era soloun'ampia abrasione.«Non credere di poter ricostruire la tua vita ignorando le macerie, Ido»disse Dagon. «Il dolore svanirà, ma il ricordo no. Quest'arma è la testi-monianza di quello che sei stato e il pegno che non sarai mai più come allora.»
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